IL TRIBUNALE

    Decidendo  sulle eccezioni della difesa, sentito il p.m., osserva
che  D'Aiello  Matteo  -  a seguito di opposizione a decreto penale -
veniva  tratto a giudizio per i reati di cui agli artt. 81 cpv., 718,
719  n. 2  c.p.,  110,  nono comma, r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (come
modificato da ultimo dall'art. 22, terzo comma legge n. 289/2002.
    All'udienza  del 1° febbraio 2005 veniva dichiarata la contumacia
dell'imputato  e all'udienza del 3 marzo 2005, rigettate le questioni
preliminari  sollevate  dalla  difesa,  il giudice revocava l'opposto
decreto  penale,  dichiarava  aperto  il  dibattimento e si procedeva
all'assunzione delle prove.
    All'udienza   odierna   l'avv.  Nicola  De  Majo,  difensore  del
prevenuto,  ha  sollevato  questione di illegittimita' costituzionale
dell'art. 1,   comma  547  della  legge  finanziaria  n. 266/2005  in
relazione  all'art. 3 Cost. e all'art. 25 Cost. in combinato disposto
con  l'art. 2 c.p., nella parte in cui alle violazioni dell'art. 110,
nono comma T.U.L.P.S. commesse in data antecedente al 1° gennaio 2006
si  applicano  le  disposizioni  vigenti  al  tempo  delle violazioni
stesse.
    L'eccezione  non  appare manifestamente infondata ed e' rilevante
ai fini del giudizio.
    L'art.  1,  comma  547  della  legge  n. 266/2005 prevede difatti
l'applicabilita'  delle  sanzioni  amministrative  -  anziche' quelle
penali - per le violazioni dell'art. 110 T.U.L.P.S. soltanto ai fatti
successivi all'entrata in vigore della legge finanziaria, ossia al 1°
gennaio 2006.
    La  norma, a parere di questo giudicante, si pone in contrasto in
particolare  con  l'art. 3 Cost., prevedendo la stessa una disparita'
di  trattamento  tra  imputati  per  i  medesimi  reati  e  di uguale
gravita',   laddove   pone  quale  unico  discrimen  tra  trattamenti
sanzionatori completamente differenti la sola entrata in vigore della
legge  finanziaria  del  2006,  sia  con l'art. 25 Cost. in relazione
all'art. 2 c.p.
    L'applicazione   delle   disposizioni   penali   piu'  favorevoli
all'imputato  puo',  secondo  quanto  stabilito  dalla  stessa  Corte
costituzionale  con sent. n. 74/1980, subire limitazioni e deroghe da
parte    del    legislatore    ordinario    purche'   ragionevolmente
giustificabili.  Tuttavia,  seppure  il  principio  del favor rei non
assuma  in via diretta rilievo costituzionale, non puo' non rilevarsi
che  il  principio di retroattivita' della legge piu' favorevole puo'
assumere  rilevanza  costituzionale in base all'art. 3 Cost. sotto il
profilo  di  una  parita'  sostanziale  di  trattamento:  non sarebbe
difatti  ragionevole continuare a punire un soggetto per un fatto che
se  commesso in data odierna - non assume piu' rilevanza penale e che
rilevi  per  l'ordinamento  giuridico  esclusivamente  come  illecito
amministrativo.
    Pertanto  la  deroga  al  principio di applicabilita' delle legge
piu'  favorevole,  incidendo  sui diritti fondamentali del cittadino,
deve   essere   giustificata   da   ragioni   aventi  pari  rilevanza
costituzionale,  che  nel  caso di specie non si rilevano ictu oculi,
laddove  invece  emerge  dall'intero quadro normativo delineato dalla
legge   n. 266/2005   una   generalizzata   tendenza  dello  Stato  a
regimentare le occasioni di gioco, ampliandone il monopolio.
    L'eccezione, ritenuta cosi' non manifestamente infondata, risulta
rilevante  ai  fini  del  giudizio  de quo in quanto, se cosi' fosse,
l'imputato  andrebbe  immediatamente  mandato  assolto  per  il reato
ascrittogli  di  cui  all'art.  110, nono comma T.U.L.P.S. perche' il
fatto  non  e' piu' previsto dalla legge come reato, con trasmissione
degli atti alla competente autorita' amministrativa.
    La  difesa  ha,  inoltre,  sollevato  questione di illegittimita'
costituzionale  dell'art. 110  T.U.L.P.S.  in  relazione all'art. 117
Cost.  come  modificato  dalla  legge costituzionale n. 3/2001, nella
parte in cui contrasta con la direttiva 98/34 CE.
    L'eccezione  non  appare manifestamente infondata ed e' rilevante
ai fini del giudizio.
    L'art. 117  Cost.  come  modificato  dalla  legge  costituzionale
n. 3/2001   statuisce,  difatti,  che  «la  potesta'  legislativa  e'
esercitata   dallo   Stato   e   dalle  regioni  nel  rispetto  della
Costituzione,   nonche'   dei   vincoli   derivanti  dall'ordinamento
comunitario  e  dagli obblighi internazionali», imponendo cosi' - per
cio' che nella specie interessa - al potere legislativo il limite del
rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario.
    L'art. 110  T.U.L.P.S.  si  porrebbe  cosi'  in  contrasto con la
normativa  comunitaria,  dalla  quale  emerge, invece, la tendenza di
vietare   restrizioni   alla  libera  circolazione  dei  servizi,  di
agevolare  le  occasioni di gioco, incentivandole e regolamentandole,
secondo quanto previsto dall'art. 49 Trattato dell'Unione europea. Il
caso  di  specie  si inserisce all'interno della piu' ampia questione
inerente  la  primazia  del  diritto  comunitario  sul diritto penale
interno  in  tema di scommesse clandestine, laddove ogni disposizione
di  diritto  comunitario  che  presenti  i requisiti della chiarezza,
precisione  ed incondizionalita' (come quelle direttamente promananti
dal  Trattato  dell'Unione  europea) e' immediatamente applicabile in
quanto  di  rango  superiore  rispetto  alle norme nazionali, potendo
subire  nell'ordinamento  interno restrizioni unicamente in relazione
alle  esigenze di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanita'
pubblica,  sempre che siano funzionali alla tutela di tali esigenze e
non si rilevino sproporzionate rispetto allo scopo.
    Tali esigenze, peraltro, non paiono rilevarsi nel caso di specie,
posto  che  anche dal quadro normativo sotteso alla legge n. 266/2005
emerge  la  tendenza  dello  Stato  ad  ampliare  il  monopolio sulle
attivita' di gioco e scommesse.
    L'eccezione, ritenuta cosi' non manifestamente infondata, risulta
rilevante  ai  fini  del  giudizio  de quo in quanto, se cosi' fosse,
l'art. 110  T.U.L.P.S. andrebbe disapplicato - o meglio non applicato
in  quanto  incompatibile  con  la  normativa comunitaria di cui alla
direttiva  98/34  CE  - e pertanto l'imputato andrebbe immediatamente
mandato assolto perche' il fatto non sussiste.
    Per  le  ragioni  di  cui  in  motivazione  il processo de quo va
sospeso e gli atti vanno trasmessi alla Corte costituzionale.